inchiostro
Ospito un articolo del Maestro Tonino Poce, compositore, calligrafo sopraffino e uomo di cultura che nutre una profonda coscienza politica
di Tonino Poce
Qualcosa non mi convince in questa chiamata alle armi per il “No” al referendum sulla riforma costituzionale. C’è qualcosa di innaturale in questa grande coalizione che riunisce destra e sinistra contro una riforma che per anni è stata in testa ai programmi politici di molti di coloro che adesso vogliono affossarla. Mi sfugge la parte oscura di questa caccia all’uomo che indica Renzi come una minaccia per la Costituzione, di questa attesa quasi messianica di un governo salvifico che non si sa bene da quale cilindro debba uscire.
E’ evidente che nella battaglia per il No vi siano ragioni proclamate e altre sottaciute. Altre ancora forse inconfessabili. Vorrei allora tentare di analizzarle, se non altro per comprendere quale altro cataclisma dovremo sopportare. Perché di una cosa sono certo, e la dico subito: se vincerà il No, il nostro Paese andrà a sbattere. Di brutto.
Trovo sconvolgente il gioco al massacro che stanno conducendo personaggi come D’Alema. Bocciare la riforma per far cadere il governo, mandare a casa Renzi per riaprire il discorso sulla guida del PD. Cioè, approfittare della crisi del Paese per ottenere quello che, in un regolare congresso di partito, non avrebbe alcuna possibilità di successo.
E’ un progetto temerario e irresponsabile, che avrà come conseguenza immediata quella di far implodere il PD e di spianare la strada ad un governo di destra i cui connotati potrebbero farci rimpiangere perfino Berlusconi, con nani e ballerine al seguito.
Non si tratta allora di essere “renziano” o “anti-renziano”. Il vero problema è il cupio dissolvi del grande partito trasversale degli antagonisti. Il vero problema sono i tanti D’Alema che, dentro e fuori il PD, antepongono ambizioni o rivendicazioni personali all’interesse del proprio Partito (e del proprio Paese). E’ un film già visto, penoso, e non promette nulla di buono. Ricordiamo i futili motivi per i quali fu rovesciato il governo Prodi, provocando il ritorno di Berlusconi con tutti i disastri che conosciamo. E’ la vecchia vocazione al suicidio (o, come dicono dalle nostre parti: a tagliarsi i “cosiddetti” per fare dispetto alla moglie), per la quale la sinistra italiana è riconosciuta ormai come maestra insuperabile.
Non si tratta di una semplice dialettica fra opinioni diverse, e neanche, come molti credono, di uno scontro fra ideologie che non si sono mai confrontate realmente. A mio avviso è qualcosa di molto più profondo che segna il passaggio da un’epoca all’altra : è la deriva di una conoscenza fondata sulla logica binaria, tanto modesta sul piano culturale quanto disastrosa su quello storico.
Tale logica vive del conflitto fra posizioni diverse. Per cui, a lungo andare, la cosa più importante diventa lo scontro in quanto tale, non più i contenuti o le opinioni. La natura violenta della dialettica, oltre che a fare danni, è particolarmente adatta anche ad assorbire tutte le pulsioni più negative e inconfessabili di chi pensa che la politica sia soltanto una rincorsa al potere.
L’ “opposizione”, per loro, non è un incidente ma un forma mentis. Non è una scelta, ma una esigenza primaria, un istinto profondo che mette in gioco la loro identità personale. Gli argomenti per legittimarla sono la parte secondaria. L’antagonismo, già promosso a “cultura” da taluni irresponsabili, è in realtà una vera e propria sofferenza mentale.
La mitologia della “lotta”, dello “scontro” (anche di quello armato, se non ricordo male), ha prodotto tragedie e devastazioni per un intero secolo, prima nel pensiero e poi nei corpi. Eppure certi ideologi “di sinistra” non sono mai riusciti a mettere in relazione la causa con gli effetti. Non per difetto di intelligenza, ma più probabilmente per carenza di una virtù che si chiama “onestà intellettuale”.
Un entusiasmo messianico li rende incapaci di accettare qualsiasi compromesso. Inadatti alla mediazione, alla diplomazia, refrattari alla cultura della diversità e al perfezionamento progressivo delle verità, che sono l’essenza della democrazia e dello spirito riformatore.
Tutto sembra orientato all’attesa quasi morbosa (anzi, senza quasi) di un nuovo Messia. E sono ormai certo che il Messia arriverà. Sarà un Berlusconi 2.0. Altro che Renzi. Un caudillo tecnologicamente avanzato, espressione di una destra finanziaria potentissima e globalizzata, che ci farà piangere per i prossimi venti anni.
Allora ne saranno felici, i vari D’Alema, Cuperlo, Speranza, Fassina e compagnia cantante. Per non parlare dei 5stelle, per i quali l’integrazione delle diversità non li sfiora neanche, figuriamoci l’idea di far parte di una coalizione di governo. Che è essenziale in politica, ma loro ancora non lo sanno. Avranno finalmente la certezza di esercitare a tempo pieno l’opposizione, che è lo scopo vero e irrinunciabile della loro vita. Non si rendono conto di vivere in una bolla messianica, un guscio vuoto, nell’armatura di un “cavaliere inesistente” costituita dai resti di quella ideologia perniciosa e fallimentare intorno alla quale non vi è mai stata alcuna ammissione di responsabilità, né prima, né dopo la caduta del Muro.
Forse faremo in tempo a vedere ancora Bertinotti, giustamente conteso da tutti i talk show, mentre commenta le lettere di San Paolo Apostolo al meeting di Comunione e Liberazione, magari insieme a Formigoni o a qualche cardinale in pensione. Vedremo certamente la Camusso, alla guida di un sindacato ormai ridotto ad una gilda di insegnanti e pensionati, illudere ancora se stessa ed il suo esercito di terracotta intorno ad un destino che, con quegli argomenti, è già segnato. E vedremo tanti altri personaggi così datati da sentirci sprofondare negli anni ’70. Se non saremo strangolati prima dalle tasse, ci penseranno loro a farci morire di malinconia.
Non si tratta più di cambiare ideologia o, come diceva l’ineffabile Bellavista, di cambiare canale. Si tratta di cambiare secolo, anzi di cambiare era. Occorre uscire dal grande sarcofago del ‘900, e soprattutto dalla logica binaria e conflittuale che lo ha riempito di morte. Occorre installare un nuovo linguaggio di sistema. Ecco: NON cambiare programma, ma cambiare il sistema, dopo aver opportunamente “inizializzato” la memoria. Con un appello (perché no?) ad una nuova Resistenza, per non soccombere alla patologia dello scontro e per salvaguardare le diversità.
Al referendum voterò “SI”. Senza essere “renziano” e, se mi è consentito, senza neanche condividere completamente la riforma.
Perché certamente mi preoccupa quello che farà Renzi, ma molto di più mi inquieta quello che non sarebbe mai capace di fare questa grande coalizione di antagonisti. Mi preoccupa questa deriva di incontinenti, prigionieri di ideologie imbalsamate e di idoli defunti.
Sono atterrito dalla terminologia mortuaria di un arco incostituzionale che va da Brunetta a Turigliatto (si, è vivo, e lotta insieme a loro). Voto “SI” anche per questo: non voglio rischiare di vedere il ritorno (e forse la vendetta) di una pletora di monatti inutili e rancorosi.