Immaginare la pace come un momento in cui non c’è guerra è immediato ma è una tensione che può essere catalogata tra quelle utopistiche. Molto probabile che un momento di assenza totale di azioni di guerra sulla Terra non si sia verificato e, comunque, è impossibile da individuare.

Lo pensai e lo scrissi nel mio primo articolo, negli anni ’80, a corredo di un percorso fotografico del grande Tano D’Amico che pubblicammo sul primo numero di una rivistina che si intitolava “Lo Stato delle Cose”. Lo penso ancora oggi, lo riscrivo e lo sottoscrivo. I venti di guerra oggi tirano più forte di allora, anche se in quel periodo non si scherzava di certo: tra Stati Uniti e Unione Sovietica disquisivano se l’Europa sarebbe potuta essere il teatro di un conflitto atomico e una spaventosa guerra, quella fredda, riempiva le cronache sistematicamente con il riarmo nucleare e gettava un’ombra sulle speranze di futuro.

Immaginare la pace, allora, non poteva essere che l’azione degli uomini intenti ad evitare la guerra. Le marce Perugia-Assisi potevano essere una delle azioni che assumevano questo significato. Le azioni diplomatiche di grandi uomini di stato, erano e sarebbero oggi, tentativi di enorme valore. L’esempio di giganti dell’umanità (come non pensare a Gandhi) lo sono state certamente.

Non è un’azione di pace e, dunque, è un’azione di guerra, inviare armi in Ucraina.

E’ lontano mille miglia dall’essere un’azione di pace, quella dei decisori politici che si limitano a denunciare e condannare, senza fare niente di concreto, le atrocità che ogni giorno si scoprono, indignarsi e basta per le vittime civili come se non sapessimo che ogni guerra, tutte quelle che abbiamo conosciuto, ne hanno sempre purtroppo comportate.

E’ terribilmente ipocrita e lontanissimo dall’essere un’azione di pace pensare e predicare che esistano guerre giuste, alimentare i conflitti in cerca di una qualche vittoria della parte che riteniamo offesa al costo di migliaia di morti, di distruzione spaventosa, di crisi economiche in mezzo mondo, di morti innocentissimi per fame a distanze siderali per le ripercussioni delle ostilità.

E’ criminale arricchirsi, come sta accadendo da oriente a occidente, speculando su quelle vittime e commerciando in ordigni (e l’Italia non fa eccezione).

E’ un delitto aver ucciso la speranza: è terribilmente deludente che le cose siano andate in senso contrario all’auspicio della nascita di un nuovo Umanesimo dopo il Covid. La pandemia non ci ha reso migliori come in tanti avevamo predicato, anzi. Le speranze di un ritorno al progresso del genere umano sono anche minori di prima.

Ventidue anni fa, all’alba del nuovo millennio, Lorenzo Cherubini, Piero Pelù e Luciano Ligabue firmarono un brano profondamente pacifista. Diceva, tra l’altro:

Io non lo so chi c’ha ragione e chi no. Se è una questione di etnia, di economia, oppure solo pazzia: difficile saperlo. Quello che so è che non è fantasia e che nessuno c’ha ragione (…) e voglio il nome di chi si impegna a fare i conti con la propria vergogna (…) io non le butto più le vostre sante bombe. Il mio nome è Mai Più”.

Era un sentimento molto diffuso allora. Siamo regrediti.