Il Vesuvio erutta. Il 24 agosto del 79 d.C. – 1940 anni fa – moriva Plinio il Vecchio, ucciso dai gas eruttati dal Vesuvio. Una descrizione, di cui si riportano alcuni passi, svolta da Plinio il Giovane, di indubbia efficacia e molto suggestiva, che merita essere riletta, in occasione dell’anniversario di quel drammatico evento. Ermisio Mazzocchi

 

Caio Plinio al suo Tacito, salute

Petis, ut tibi avunculi mei exitum scribam…. – Mi chiedi di narrarti della fine di mio zio, acciocché possa essa venire con maggiore esattezza tramandata ai posteri. Te ne sono grato, giacché prevedo che la sua morte sarà destinata a gloria imperitura, se da te narrata. (…) Levandosi nel cielo, una nube si formava, ma per quelli che come noi da così lontano la osservavano, non appariva ben chiaro da qual monte (si seppe poi dal Vesuvio). (…) Da persona di estese cognizioni quale era, parve a mio zio che quel fenomeno dovesse essere meglio e più da vicino esaminato. Ordinò dunque che venisse approntata una liburna, concedendomi, se lo volessi, di seguirlo. Trovandomi io però preso da un compito che egli stesso mi aveva poco prima assegnato da scrivere, forte di ciò, gli rispondo che preferisco restarmene a studiare. (…) Già la cenere cadeva sulle navi, tanto più calda e densa quanto più si approssimavano. Già cadevano anche frammenti di pomice, e ciottoli, anneriti, e arsi, e dal fuoco spezzati e ridotti in frantumi. Poi, ecco d’un tratto un inatteso bassofondo, e la spiaggia resa impervia e inadatta all’approdo per il rovinare del monte. Esita un poco, meditando se non fosse il caso di rientrare. Ma poi, volgendosi risoluto al pilota che lo esorta a far questo, dà di voce: “Fortes Fortuna iuvat [La fortuna aiuta gli audaci]!” e comanda “Punta in direzione di Pomponiano”. (generale, suo amico, che si trovava a Stabia, ndr). (…) Intanto, dal monte Vesuvio, in parecchi punti, splendevano vaste fiamme e alti incendi, il cui fulgore e le cui vampate erano resi ancora più spettacolari dall’infittirsi delle notturne tenebre. (…) Già ovunque faceva giorno, ma colà una notte, ancorché inframmezzata da molti fuochi e svariate luci, regnava più scura e più cupa d’ogni altra. Ritenne egli opportuno raggiungere la spiaggia, a vedere da vicino se fosse possibile riprendere il mare, ma questo continuava a mostrarsi agitato e impraticabile. Quivi, standosene riposato sopra un lenzuolo disteso, chiese e richiese della fresca acqua da bere, che avidamente ingurgitava. Ma poi, le fiamme, e il sentore di zolfo che le annunciava, mettono alcuni in fuga e riscuotono lo zio. Sostenuto da due giovani servi, si alza in piedi, ma subito ricade, perché, suppongo, ispessita dalla caligine, l’aria aveva ostacolato la respirazione e ostruita la trachea, che per natura egli aveva delicata e stretta, e di frequente congestionata. Quando poi il chiarore diurno fece ritorno (e ciò fu al terzo dì dopo quello che per ultimo egli aveva visto), il suo corpo fu ritrovato integro, illeso, e con ancora intatte le vesti che da lui furono indossate, l’aspetto più simile a un uomo che dorme che a un morto – abitus corporis quiescenti quam defuncto similior. (Plinio il Giovane, Lettere ai Familiari, 6,16).